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Quasi 4.700 moduli fotovoltaici installati tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 in sei impianti svizzeri producono molto più a lungo del previsto, mantenendo spesso oltre l’80% della potenza iniziale.

Questi dati provengono da un ampio archivio di misurazioni raccolte su impianti monitorati per oltre vent’anni, che rappresenta uno dei più importanti riferimenti reali sulla durata del fotovoltaico in condizioni operative.

L’analisi è stata condotta da un consorzio di istituti europei e svizzeri tra cui SUPSI, CSEM, BFH, OFI e Officina del Sole, con siti a bassa, media e alta quota per isolare l’effetto di temperatura, irraggiamento e configurazione di montaggio.

Lo studio rileva una perdita di performance media annua intorno allo 0,25%, con una variabilità di circa 0,16 punti percentuali tra impianti.

I dati di laboratorio su 21 moduli estratti confermano che, nonostante i 30–35 anni di servizio, la maggioranza conserva oltre l’80% della potenza, superando spesso le soglie indicate dai produttori.

Il degrado è più marcato dove i moduli sono esposti a stress termici, come installazioni a contatto con superfici o a bassa quota, mentre è minore in sistemi ventilati o in quota.

Un elemento chiave è la qualità del BOM (vetro, EVA, backsheet Tedlar, incapsulanti e lamina posteriore): combinazioni robuste hanno favorito la longevità.

Gli autori sottolineano che i moduli storici funzionano meglio per via di materiali più robusti rispetto a quelli dei moduli moderni a bassi costi, che possono offrire maggiore efficienza ma meno durevolezza.

In campo, operatori riportano casi simili: moduli ARCO e Siemens degli anni ’90 con perdite di potenza molto inferiori alle garanzie, mentre i materiali di oggi potrebbero non garantire la stessa durata.

Infine, la ricerca indica che la vita utile effettiva degli impianti di qualità potrebbe superare i 40 anni, con impatti positivi su costo livellato dell’energia e redditività degli investimenti.